Articolo scritto da Sergio Cararo.
Nonostante l’intervento a gamba tesa della lobby sionista
sull’Università di Roma Tre, si è tenuta lo stesso la conferenza “Europa
e Medio Oriente oltre gli identitarismi” con lo storico israeliano Ilan
Pappè. Gli organizzatori – tra cui diversi docenti delle università
romane, hanno dovuto cambiare la location. Dall’iniziale aula in piazza
Campitelli al centro congressi di via dei Frentani gestito dalla Cgil.
L’aula della conferenza alle 14.00 era già strapiena e con posti in
piedi. E’ stata approntata un’altra sala con un collegamento audiovisivo
con la sala principale ed anche questa si è rapidamente riempita.
Insomma sul piano della partecipazione – moltissimi i giovani – un
risultato importante che potrebbe spegnere la boria dei sionisti
nostrani per aver ostacolato la conferenza con Ilan Pappè.
L’atteso
intervento dello storico israeliano, preceduto da altri molto
interessanti tra cui quello dell’antropologa dell’università di Londra
Ruba Salih e seguito da quello di Moni Ovadia, è stato una sorta di lectio magistralis per capacità di sintesi e profondità.
Pappè
è partito da una importante differenza tra colonialismo e insediamento
coloniale (settler-colonialism). Questo secondo caso si ha quando si
colonizza un altro paese e “ci si reinventa come abitanti del paese che è
stato colonizzato”. Casi come questi sono quelli avvenuti in passato
negli Stati Uniti, in America Latina, Australia e Nuova Zelanda. Ma i
due casi recenti di insediamento coloniale sono proprio il Sudafrica e
la Palestina.
Su questi temi, secondo Pappè, spesso il dibattito
accademico è stato più avanzato di quello messo in campo dagli
attivisti per la Palestina o della stessa campagna Bds (Boicottaggio,
Disinvestimento, Sanzioni) verso Israele. Solo guardando alle cose con
questa visione si può discutere correttamente del sionismo. “Quella
dell’insediamento coloniale è oggi la mentalità di Stato in Israele… il
sistema politico israeliano – di destra e di sinistra – non ha mai fatto
i conti con la propria natura coloniale” ha affermato Pappè.
La
differenza tra ospiti e invasori, la prima come pretesa anche del
sionismo “di sinistra” – racconta Ilan Pappè - è stata al centro di una
fitta corrispondenza tra il sionista di sinistra Martin Buber e Gandhi,
nel tentativo di arruolare quest’ultimo a sostegno del sionismo. Ma
Gandhi non si è fatto trascinare dall’invito di Buber, al contrario gli
ha spiegato che un ospite è tale fino a quando non pretende di invaderti
la casa. Un vizio di fondo che, secondo Pappè, è presente anche nei
sionisti di sinistra di oggi che continuano a discutere solo in termini
di “concessioni” ai palestinesi. Una visione unilaterale che ha
condizionato anche i processi di pace da Oslo in poi e che alla fine è
diventata conveniente anche per molti europei e molti palestinesi per
non affrontare i nodi della questione. I palestinesi invece sono
consapevoli del peso del sionismo e degli insediamenti coloniali. “In
Israele e in Palestina ormai siamo alla terza generazione di coloni e di
palestinesi sotto l’occupazione”. Ma per gli israeliani “l’obiettivo è
di avere più Palestina possibile … con meno palestinesi possibile,
rinchiudendoli in quelli che ormai sono dei Bantustan”.
Ilan Pappè
è poi entrato nel merito anche della questione “politica”, affermando
che quando “politica e realtà non coincidono, diventa difficile avere
una strategia”. “Quella dei due popoli per due stati appare così una
prospettiva percorribile, mentre a Gaza pensano che sia meglio
proseguire con la resistenza armata”.
Infine Pappè ha posto l’attenzione su tre nodi:
-
Il primo è il focus sui diritti civili e umanitari dei palestinesi
piuttosto che sui diritti nazionali e religiosi, perché in questa
dimensione può essere coinvolta anche Israele
- Il
secondo è il futuro dei coloni israeliani. Quella dei palestinesi non ha
niente a che fare con la religione ma è una lotta anticolonialista
-
Il terzo è che le università e il dibattito accademico non devono avere
paura di parlare di sionismo o della pulizia etnica del 1948, perché
una discussione vera su questi temi consentirebbe anche ai giornalisti e
ai media di poter scrivere su questa materia con meno condizionamenti.
Una
relazione decisamente interessante quella di Ilan Pappè sulla quale ci
sentiamo di segnalare un punto, se non di dissenso quantomeno di
approfondimento. Se il focus infatti diventano i diritti civili e
umanitari dei palestinesi si corre il rischio – che si è cercato di
contrastare in questi anni – di ridurre la questione palestinese ad una
dimensione umanitaria piuttosto che politica. Una visione questa che ha
aumentato i consensi nel mondo della solidarietà internazionale ma anche
in settori del movimento palestinese a fronte delle difficoltà
dell’opzione politica della liberazione nazionale. Quella mancata
convergenza “tra politica e realtà” segnalata appunto da Pappè che ha
reso via via più silente il progetto politico nazionale palestinese dopo
la repressione violenta della Prima e della Seconda Intifada,
sembrerebbe così realizzare quel “politicidio” dei palestinesi
denunciato giustamente da Baruch Kimmerling. Obiettivamente l’opzione
politica palestinese si è manifestata con maggiore determinazione lì
dove pure l’emergenza umanitaria è più forte, cioè a Gaza, ma si è
manifestata attraverso la rappresentazione dell’islam politico in tutte
le sue sfaccettature, incluse le peggiori. Al contrario in Cisgiordania
tende a prevalere la contaminazione dell’opzione civile e umanitaria
come dimensione prevalente del problema palestinese. Il tentativo
dell’Olp di rompere l’assedio e la bantustanizzazione dei palestinesi
attraverso il riconoscimento nelle sedi internazionali (Assemblea
plenaria delle Nazioni Unite, Corte Penale Internazionale) è una strada
che va perseguita con determinazione. A tale proposito, merita essere
segnalato che il 19 febbraio il Parlamento italiano dovrebbe essere
chiamato a pronunciarsi sul riconoscimento dello Stato Palestinese dopo
il rinvio della discussione avvenuto alcune settimane fa. Sarà una
occasione importante per verificare se la questione palestinese ha
ancora la forza di porsi come questione politica anche nell’agenda
italiana.
Una seconda osservazione va indirizzata invece al mondo
accademico e universitario che anche in questa occasione ha dovuto fare i
conti con le pesanti ingerenze della lobby sionista. Il successo e
l’interesse tra molti giovani e studenti per la conferenza con Ilan
Pappè – e la sua stessa esortazione nel terzo dei suoi punti elencati
come decisivi - sta a lì a dimostrare quanto possa essere importante un
impegno sistematico dei docenti e del mondo accademico nel dibattito su
tali questioni. Occorre una grandissimo coraggio e una capacità di
tenuta non indifferenti per resistere all’ostracismo e alle ingerenze
sioniste anche in questi ambiti, ma una battaglia di verità e di libertà
merita sempre di essere combattuta e di pretendere il sostegno reale e
non formale di chi ne comprende il valore.
Sergio Cararo
http://contropiano.org/articoli/item/29197
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